lunedì 17 settembre 2007

Apologia del partito politico

Quando si sente parlare di anti-poltica che si va diffondendo s'intende principalemente un diffuso senso di avversione verso i partiti politici e di come la loro azione sia percepita come principalemente volta a consolidare posizioni di potere personale o di piccoli gruppi, piuttosto che a proporre idee e ad organizzare un'attività di governo reale e non semplicemente retorico.

"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" afferma l' art 49 della Costituzione italiana.

Ma davvero un cittadino che si avvicina a un partito è interessato a determinare la politica nazionale? o piuttosto ritiene che fare parte di un partito significa soprattutto entrare nella "casta" con i privilegi che ne conseguono?

Personalmente penso che l'effetto più grave che questa classe politica ha generato nella cittadinanza ( o forse sarebbe meglio dire che ha aggravato) consiste nella perdita di rispetto e fiducia nelle istituzioni.

Il Parlamento è dileggiato (ahimè giustamente per il degrado che rappresenta), il Governo è incapace di agire e per questo sempre più arroccato su se stesso.
Le rimanenti organizzazioni centrali dello stato non stanno meglio.

I mass-media, che dovrebbero essere la sentinella dell'opinione pubblica, in realtà molto spesso si conformano all'opinione di poteri consolidati e magari cementati da stretti rapporti personali.
Quando si dice che non c'è ricambio generazionale in politica bisognerebbe guardare anche all'interno del mondo del giornalismo.

Eppure sono passati 15 anni da tangentopoli ma quel clima d'insofferenza verso la politica sembra essere riemerso.

Forse sono gli italiani che non sono cambiati.
Molti infatti si fanno prendere da eccessi di passionalità verso la politica alternati a periodi d'indifferenza.
Ci sono italiani che richiedono un rinnovamento morale ma, quando posti di fronte all'alternativa nella propria vita quotidiana tra l'essere coerenti e sostenere un principio e fare il proprio interesse personale non ci pensano due volte ed optano per la seconda opzione.
Tutti "tengono famiglia" in fondo.

Ma la "famiglia" può coesitere con la vita pubblica?

A questo servirebbero appunto i partiti: a creare un luogo di partecipazione in cui il comportamento nella vita pubblica s'ispiri ad un interesse superiore a quello dell'individuo e dello stesso partito a cui si appartiene e in cui chi appartiene ad un altro partito venga rispettato perchè visto come parte necesaria del processo democratico.

Trasformare il partito in una estensione del proprio nucleo familiare è un aspetto culturale della politica italiana alla base della storica bassa legittimazione delle istituzioni.
Non si vuole riconoscere cioè che anche l' "altro"di un partito diverso fa pienamente parte della comunità nazionale.

In conclusione, distruggere i partiti, come proposto da alcuni, non servirebbe a nulla anzi peggiorerebbe la situazione se la partecipazione alla vita pubblica continuerà ad accomunare il potere politico ad una lotta in famiglia per separare i beni di un eredità contestata.

L'unico risultato che si otterrà sarà che il patrimonio verrà progressivamente dilapidato.

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