sabato 29 settembre 2007

La fine delle ideologie. Inizio di cosa?

La difficile transizione italiana non è semplicemente il frutto del malgoverno di una classe politica. E’ la storia di un repentino rovesciamento di culture politiche consolidate nell’élite del potere e la fine di molte illusioni diffuse.
Il cambiamento non è avvenuto ovunque negli stessi termini.
Mentre il potere ne ha avvertito immediatamente le scosse, il resto della società si è adattata alla nuova situazione in modo molto differenziato .

Nelle élite o nelle minoranze politicizzate si è passati da una realtà in cui a dominare era l’appartenenza ad una ideologia o all’altra propinata in forma tribale, ad una realtà in cui sono gli interessi di gruppi o individui sotto le mentite spoglie della “società civile” a dettare le regole del gioco.

Paradossalmente, la fine delle ideologie offriva l’opportunità di finalmente riprendere la costruzione di una società veramente nazionale al tempo stesso cosmopolita, in grado di sostenere le sfide del ventunesimo secolo.

Ma in un paese che invecchia sempre di più, sono sempre gli stessi ad andare a votare.
Così sopravvivono appartenenze che non si capisce più che valore abbiano al giorno d’oggi.

Molte persone nel dare il loro voto si sentono rassicurate dal fatto di sentire sempre i soliti discorsi.
Probabilmente chi agisce in questo modo crede ancora di essere al passo coi tempi sebbene molto spesso dei politici che fanno questi discorsi per motivi di consenso pochissimi comprendono la realtà di un mondo frastornato dalla velocità con cui si trasforma.

Finora la transizione ha portato ad un sistema in cui le categorie produttive, dagli imprenditori ai lavoratori dipendenti ai pensionati, sono arroccati a quello che rimane delle loro conquiste sociali: i loro privilegi.

Sono privilegi perché non è più possibile giustificarli da una buona parte della cittadinanza.

Il cambiamento interno ed esterno alla società pare aver spiazzato culturalmente un intero paese.

I concetti tradizionali di destra e sinistra non hanno più alcun senso, se non per alcuni nostalgici dei regimi criminali del ventesimo secolo.

Oggi stiamo andando verso un sistema politico che richiede una semplificazione organizzativa nelle sue istituzioni.

Così al posto delle categorie destra-sinistra, termini più simili a quelli vigenti nei sistemi anglosassoni, ossia conservatori e liberal saranno probabilmente quelli più comunemente utilizzati.

I conservatori sono quelli interessati a mantenere un equilibrio tra le varie parti della società in continua trasformazione, preoccupati che una “grande idea” calata dall’alto non distrugga indiscriminatamente quanto è stato costruito dalle generazioni precedenti.

I liberal invece vogliono espandere al massimo le possibilità offerte agli individui e quindi sono contrari ad ogni forma di imposizione sociale che impedisca questo sviluppo.

Ma per poter avere davvero un efficace sistema di governo è indispensabile disporre di istituzioni in cui tutte le parte politiche condividono i valori di fondo, senza delegittimarsi a vicenda.
Copiare i sistemi elettorali e politici dagli altri paesi non servirà a nulla perché, diciamolo, non ci sono altri paesi come l’Italia.

Il dibattito politico dovrebbe vertere sulla capacità o meno di chi ha la responsabilità di governo ad applicare e realizzare delle politiche efficaci, non quello di negare all’altro ogni possibile spazio vitale.

Il passaggio da una società del dover essere ad una che stenta a trovare se stessa probabilmente indica l’inizio del declino italiano.
Ma se l’ottimismo non mancasse, allora potrebbe essere un momento di crisi che serve a trovare una nuova consapevolezza di sé e del mondo e, forse, la maturità politica degli italiani.

lunedì 17 settembre 2007

Apologia del partito politico

Quando si sente parlare di anti-poltica che si va diffondendo s'intende principalemente un diffuso senso di avversione verso i partiti politici e di come la loro azione sia percepita come principalemente volta a consolidare posizioni di potere personale o di piccoli gruppi, piuttosto che a proporre idee e ad organizzare un'attività di governo reale e non semplicemente retorico.

"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" afferma l' art 49 della Costituzione italiana.

Ma davvero un cittadino che si avvicina a un partito è interessato a determinare la politica nazionale? o piuttosto ritiene che fare parte di un partito significa soprattutto entrare nella "casta" con i privilegi che ne conseguono?

Personalmente penso che l'effetto più grave che questa classe politica ha generato nella cittadinanza ( o forse sarebbe meglio dire che ha aggravato) consiste nella perdita di rispetto e fiducia nelle istituzioni.

Il Parlamento è dileggiato (ahimè giustamente per il degrado che rappresenta), il Governo è incapace di agire e per questo sempre più arroccato su se stesso.
Le rimanenti organizzazioni centrali dello stato non stanno meglio.

I mass-media, che dovrebbero essere la sentinella dell'opinione pubblica, in realtà molto spesso si conformano all'opinione di poteri consolidati e magari cementati da stretti rapporti personali.
Quando si dice che non c'è ricambio generazionale in politica bisognerebbe guardare anche all'interno del mondo del giornalismo.

Eppure sono passati 15 anni da tangentopoli ma quel clima d'insofferenza verso la politica sembra essere riemerso.

Forse sono gli italiani che non sono cambiati.
Molti infatti si fanno prendere da eccessi di passionalità verso la politica alternati a periodi d'indifferenza.
Ci sono italiani che richiedono un rinnovamento morale ma, quando posti di fronte all'alternativa nella propria vita quotidiana tra l'essere coerenti e sostenere un principio e fare il proprio interesse personale non ci pensano due volte ed optano per la seconda opzione.
Tutti "tengono famiglia" in fondo.

Ma la "famiglia" può coesitere con la vita pubblica?

A questo servirebbero appunto i partiti: a creare un luogo di partecipazione in cui il comportamento nella vita pubblica s'ispiri ad un interesse superiore a quello dell'individuo e dello stesso partito a cui si appartiene e in cui chi appartiene ad un altro partito venga rispettato perchè visto come parte necesaria del processo democratico.

Trasformare il partito in una estensione del proprio nucleo familiare è un aspetto culturale della politica italiana alla base della storica bassa legittimazione delle istituzioni.
Non si vuole riconoscere cioè che anche l' "altro"di un partito diverso fa pienamente parte della comunità nazionale.

In conclusione, distruggere i partiti, come proposto da alcuni, non servirebbe a nulla anzi peggiorerebbe la situazione se la partecipazione alla vita pubblica continuerà ad accomunare il potere politico ad una lotta in famiglia per separare i beni di un eredità contestata.

L'unico risultato che si otterrà sarà che il patrimonio verrà progressivamente dilapidato.

mercoledì 25 luglio 2007

Benvenuti!

Le intenzioni sono profonde.
Le aspettative invece, un atto di fede.

Vogliamo iniziare qui un cammino che non può essere compiuto da soli.

La "stanchezza" generalizzata per come vanno le cose sono frutto di illusioni infrante o sogni perduti.

Noi non ci illudiamo che questo blog possa cambiare il mondo.
Crediamo invece che sia necessario per "ricaricare le batterie".

Per fare questo vogliamo dedicarci alla nostra Realtà e raccogliere le opinioni di chi vuole partecipare.

Non si tratta solamente di esprimere un'opinione ma si tratta di conoscerci e discutere oltre le macerie di quelle fragili illusioni.

Grazie in anticipo del contributo che vorrete dare.