domenica 10 febbraio 2008

10 febbraio. Il Giorno del Ricordo, un senso per l'Italia e l'Europa.


Il 10 febbraio ricorre il ricordo della firma a Parigi del Trattato di Pace che poneva fine alla Seconda Guerra Mondiale.
La pace per alcuni italiani però non c'è stata.
Da una parte l'oblio posto sulla sorte di quegli italiani gettati in cavità carsiche denominate foibe da parte di comunisti titini e uccisi in quanto italiani.
Dall'altra la sorte di più di 300.000 italiani, nati e cresciuti dall'altra parte dell'Adriatico non in quanto colonizzatori, ma cacciati dalla terra in cui sono nati loro e i loro avi.
Il governo italiano non rispettò i termini del Trattato di Pace e utilizzò i beni degli esuli come compensazione alla Jugoslavia.
Il ricordo della sofferenza non va utilizzato per riaccendere uno sciovinismo irredentista, grazie a Dio, ormai dimenticato, quanto piuttosto per ristabilire concordia tra gli italiani, e tra italiani e slavi.
Questo è oggi possibile perchè il comunismo è morto e il paradiso socialista si è rivelato una fossa piena di cadaveri.
La retorica del partito che s'ispirava a Lenin e Stalin che descriveva gli esuli come gente che scappava dalla "libertà" del socialismo anzichè da una pulizia etnica, si è rivelata infine vuota e sonora.
Certo, non va dimenticata la scellerata azione nazi-fascista in Iugoslavia che costò la vita a migliaia di civili innocenti.
Ma solo se gli italiani capiranno il loro passato potranno affrontare il loro futuro.
Riconciliarsi finalmente con quelle genti slave con cui un tempo si condivedeva la stessa terra e lo stesso mare.
Il giorno del ricordo diventa allora un'opportunità per dare nuovo significato all'Europa.
I Balcani occidentali, infatti, ancora non ne fanno parte ed, anzi, in alcune zone come il Kosovo il conflitto rischia di riesplodere.
La Storia non deve ripetersi. Ne va della civiltà riconquistata con tante sofferenze e sacrifici.
Nota: per informazioni sulle manifestazioni organizzate in corrispondenza del Giorno del Ricordo visitare il sito http://www.anvgd.it/ dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

domenica 3 febbraio 2008

La crisi della politica ? Un’opportunità per l’Italia. Forse l’ultima.

L’imminente fine della legislatura, dopo la rapida, forse troppo poco, dipartita del governo Prodi è da molti considerata come una iattura, se non l’ennesimo esempio di come il potere in Italia sia immerso in una fase d’introspezione ormai da troppo tempo.
I cittadini non vogliono solamente una visione per il futuro, ma desiderano anche che l’autorità sia credibile.

Il presidente della Repubblica Napolitano ha giustamente, come richiede la prassi Costituzionale, provato a trovare una maggioranza alternativa, incaricando il presidente del Senato Marini di condurre delle consultazioni a questo scopo.

Molto probabilmente una maggioranza alternativa non esiste e presto bisognerà prenderne atto con lo scioglimento anticipato delle Camere e il voto anticipato.

Si dice che, stante l’attuale legge elettorale, potrebbe ripresentarsi la stessa situazione e quindi bisognerebbe prima cambiare la legge elettorale.

Ma il vero problema non è la legge elettorale.
Il problema è cosa si fa con il mandato ricevuto dagli elettori, qualunque sia la legge elettorale.

L’Unione guidata da Romano Prodi, era una coalizione di molteplici partiti con niente in comune se non l’unico scopo di rimuovere Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi.

Per questo, anche quando, la notte delle elezioni, era evidente che i risultati delle urne erano una vittoria di Pirro e che il governo avrebbe avuto vita breve, Prodi decise di non tenerne conto, di pensare che la realtà fosse diversa e che cioè in Italia la democrazia parlamentare fosse una certezza e che quindi anche un paio di senatori in più erano abbastanza per giustificare il proprio governo.

Non solo Prodi, ma anche gli elettori del centro sinistra erano semplicemente interessati a cacciare l’odiato Berlusconi. Il Governo della nazione, nel senso più responsabile e autentico, in fondo non interessava. A prevalere, nella sinistra, era un senso di ripicca generato dalla infinita campagna elettorale e dalla politica ormai considerata propaggine dello stadio.

Winston Churchill disse che nella vittoria bisogna essere magnanimi con lo sconfitto. Allora, forse, quando la stessa vittoria è dubbia, bisognerebbe essere ancora più cauti.

La sinistra non lo ha fatto. Non solo, ma si appella al senso di “responsabilità” dell’Opposizione.

Ma responsabilità verso chi? Verso le istituzioni, la cui legittimità la “maggioranza” di centro-sinistra ha contribuito in modo formidabile ad indebolire? Verso i problemi economici e sociali emergenti ? Le 280 pagine del programma dell’Unione non sono servite a molto.

La responsabilità dei membri del Parlamento deve essere innanzitutto verso quel legame che li lega alla cittadinanza.
Certo, l’art 67 della Costituzione dice che “non c’è vincolo di mandato”. Certo, la legge elettorale non permette agli elettori di scegliere un candidato con una preferenza.

Ciò che bisogna comprendere è che il mandato dell’aprile 2006 è scaduto, non semplicemente perché è caduto il governo Prodi, ma perché è finalmente chiaro a tutti gli italiani che un governo non può essere fondato sull’essere contro una persona. Ci deve essere sostanza politica se si vuole governare.

Per questo le elezioni sono l’unica via d’uscita dalla crisi della politica.
Quando un ferito perde molto sangue, non solo bisogna fermare l’emorragia, ma bisogna immediatamente fare trasfusioni perché altrimenti il paziente morirebbe.

Così la prossima campagna elettorale dovrebbe essere indirizzata non solo a proporre programmi, ma anche ad affermare che le riforme si fanno insieme.
Due dottori che litigano su come suturare una ferita non fanno di certo il bene del malato.

Le elezioni inoltre frenerebbero le illusioni di quei pochi che controllano grandi centri di potere di interferire indebitamente con le istituzioni, sfruttandone la debolezza attuale.

In una situazione di questo genere le elezioni potrebbero forse far venire meno uno scontro politico che negli ultimi anni si è fondato principalmente su antiche appartenenze ideologiche e odio personale.

Certo è difficile pensare per il meglio, ma se non s’inizia ora non lo si farà mai.